CIRILLO ABRANTE

Il sogno e la storia

CIRILLO ABRANTE

Nell’antica biblioteca di casa erano nascosti alcuni volumi di un autore sconosciuto, Cirillo Abrante... ma ecco svelato il mistero! è l'anagramma di Carlo Albertini, che aveva scelto di scrivere con questo pseudonimo.

Nel 1833 il conte Carlo degli Albertini, ereditata la proprietà dal padre Alberto (morto nel 1829), incarica l’architetto Francesco Ronzani, uno dei progettisti di maggior prestigio in quegli anni a Verona, di seguire i lavori di trasformazione dell’intero complesso . Determinante nella progettazione del parco fu proprio la figura del proprietario, Carlo degli Albertini, Conte di Prato, letterato, socio dei più prestigiosi circoli letterari dell’epoca come il Vieusseaux di Firenze, critico del Petrarca, traduttore di Racine e delle opere del teatro francese (con lo pseudonimo di Cirillo Abrante).   Furono i viaggi in Inghilterra, dove l’arte di progettare giardini e parchi era interessata da grandi cambiamenti e sconvolta dalle nuove tendenze che si stavano diffondendo in tutta Europa, ad influenzare il gusto del conte Carlo Albertini, che mise in pratica, realizzando il suo giardino di Garda, il ritorno alla natura libera da costrizioni formali (tendenza diffusa tra gli intellettuali e gli artisti dell’epoca, simbolo anche dei nuovi ideali di libertà che interessavano l’Europa illuminista).   Ed è proprio in questi anni che iniziano i lavori di trasformazione dell’antico brolo in un maestoso parco di tipologia romantica in piena sintonia con il fervore di idee e di entusiasmo creativo che si distinguerà nel veronese con la felice stagione dei giardini ottocenteschi.
Carlo degli Albertini- Cirillo Abrante, ritratto
Mappa del ‘ Brolo di Garda ‘
Antenato al laghetto
Statua dedicata a Carlo Albertini

IL SOGNO DIVENTA realtà

Il parco informale si sviluppa alle spalle della villa e si estende fino alla sommità del colle come una scenografica quinta arborea, di specie in prevalenza sempreverdi, che funge da cornice e da risalto all’edificio in primo piano.   Il muro di cinta che delimita l’intera proprietà venne decorato con una fascia continua di merli. Vennero aggiunte alcune torri belvedere nei punti più panoramici, la più alta delle quali costruita sulla sommità del colle, presso il laghetto, per consentire al visitatore di godere della magnifica vista del lago.   Nel punto più alto del parco si trova il laghetto, elemento principe dei giardini all’inglese. La sua funzione voleva si essere sorgente di luce riflessa proveniente dal basso, specchio del paesaggio circostante fatto di natura e arte, capace di far partecipare, stupire e sentire con i cinque sensi e portare in un altro luogo e in un altro tempo: ma la sua funzione principale era quella di essere un bacino di riserva idrica. Alimentato da una sorgente e provvisto di un sistema di chiuse e dighe era l’espediente per l’approvvigionamento dell’acqua in tutto il parco sino all’orto e alle vasche e fontane che impreziosiscono il giardino formale. L’acqua veniva fatta scorrere lungo canalette in pietra, che davano vita a scenografiche cascatelle nei pressi delle grotte, per poi raggiungere il piano e la sua funzione irrigua.   I percorsi principali sono tutt’ora ben riconoscibili perché delimitati da secolari cipressi che restano a testimonianza dell’impianto originario. Molti sono ancora i tortuosi sentieri che si arrampicano sul colle arredati, secondo la moda del tempo, con panchine di pietra, scalinate e ponticelli di legno. L’intento del progettista era quello di sorprendere il visitatore che si inoltrava nel fitto della vegetazione del parco e condurlo in luoghi di sosta dove godere stupito dei “quadri” che la natura offre, immerso nei colori, negli odori e nei suoni di questi luoghi di pace. A questo scopo nei luoghi più significativi del parco vengono realizzati cannocchiali prospettici, con l’aiuto delle architetture vegetali, per guidare lo sguardo del visitatore e costruiti dei belvedere, arredati con panchine e tavoli di pietra dove godere della meravigliosa vista del lago. Sempre con l’intento di meravigliare e condurre in luoghi e tempi lontani vennero realizzate, secondo i canoni dell’ottocento alcuni manufatti che costituiscono l’ossatura di un percorso ideale attraverso il parco che si svolgeva come il racconto di un libro. L’unione di arte e natura, di artificiale e naturale costituisce la matrice della creazione e ideazione di ogni giardino, anche dei giardini apparentemente meno architettonici, quelli appunto dove si è cercato di ricreare la natura nelle sue forme più spontanee e casuali. I manufatti nel parco sono “i più fedeli depositari del desiderio del progettista”. Grotte, padiglioni, belvedere, uccelliere e serre nei vari stili e momenti storici popolavano il parco per ricreare situazioni immaginarie, erano effettivamente uno dei momenti più creativi dell’arte dei giardini. Il giardino diventa il paradiso degli stili, un compost di diversi siti e diverse civiltà, una sorta di microcosmo nel quale sono raccolte le varie parti del mondo. L’archetipo della capanna, immagine dell’abitazione originaria, dalla quale deriverebbe la stessa architettura gotica rappresenta l’ambiguo momento di passaggio dalla natura all’architettura, che può assumere aspetti fra I più vari e drammatici: le capanne potevano essere realizzate con l’impiego di una vegetazione deformata, con tronchi d’albero dalle conformazioni tormentate, radicati nel terreno o con tronchi e rami razionalizzati, quasi a suggerire archeggiature a sesto acuto. La torre è l’elemento emergente nel paesaggio del giardino, punto di traguardo ottico e osservatorio; luogo della visione, oltre che dell’essere visti. Luoghi privilegiati della visione della contemplazione sono anche i belvedere, le guardiole e le torrette angolari, protese verso il paesaggio per raccogliere la maggiore quantità di vedute e riportarle al loro interno. Le grotte, rivestite di travertino e animate da cascatelle, realizzate con l’intento di portare il visitatore in un mondo fiabesco ma, in primo luogo, parte fondamentale di un articolato sistema idraulico che aveva la funzione di portare l’acqua dal laghetto sulla sommità del colle fino alle zone da irrigare nell’orto e nel giardino formale adiacente la villa, erano insomma una specie di “acquedotto grottesco”. La presenza dell’acqua, requisito indispensabile in un giardino all’inglese, è nel parco di villa Albertini sapientemente declinata in tutte le sue forme e funzioni. Capace di creare effetti suggestivi e continuamente nuovi rispondendo alla ricerca di tranquillità e di contemplazione così diffuse nel pensiero romantico.
Il viale di magnolie che portava alle grotte
Il laghetto foto primi ‘900
La torre grande foto primi del ‘900
Vista dal lago foto primi ’900

Il sogno continua...

L’idea, il desiderio, se vogliamo, del conte Pieralberto degli Albertini, attuale propietario, e delle sue figlie Barbara e Maddalena, è quella di restituire il Parco di Villa Albertini al pensiero e alla visione del loro antenato e di proporlo, dopo due secoli, al pubblico godimento.

Il conte Carlo degli Albertini, “riedificatore dei giardini e degli edifizi fondatore”,  aveva infatti una sua personale visione della vita e dei rapporti uomo/natura, una sua personale sensibilità che il Parco avrebbe dovuto non solo esplicitare ma anche ‘fissare’. Un ideale culturale fatto Luogo. Il Tempo e la Natura sono stati in questi anni i principali artefici delle trasformazioni avvenute nel parco. Pur mantenendo il fascino romantico e lo ‘spirito’ del suo ideatore,  il Parco necessitava di un adeguato e importante intervento di conservazione, coordinato con rigore metodologico, passione e memoria storica da Barbara degli Albertini, erede spirituale degli ideali e del sogno dell’antenato. “Non è cosa facile ma tanto lavoro e tanta dedizione stiamo aiutando il bosco a ritrovare il suo equilibrio”. La riqualificazione  non deve però risolversi in un mero esercizio di recupero e di, seppur auspicata e necessaria, conservazione. Un giardino riesce ad essere tale, soltanto in quanto è governato, altrimenti è un rudere, un relitto o nel migliore dei casi un pezzo da museo. Non si tratta di conservare una memoria, o la Memoria, ma di esprimere continuità, come organismo vivente e come espressione del suo “genius loci”. Tempo, ricerca e opere. Nel rispetto dell'importanza storica e culturale del Parco di Villa Albertini a Garda, cercando di trasmettere un messaggio di sostenibilità  culturale fondato su bellezza, rispetto, buon gusto ed educazione.
Riflessi al laghetto
Le nuove generazioni ...
Pieralberto degli Albertini con le figlie Barbara e Maddalena